Andrea De Benedetti, Val più la pratica. Piccola grammatica immorale della lingua italiana, Laterza, 2009.


Come altre volte, in questa rubrica: prima i difettucci, che possono, pur non inquinando affatto il godimento dell'opera, frenare qualche entusiasmo al primo acchito. La scelta di un libro ha tanti motivi, talvolta anche quello che un po' oscenamente potrebbe oggi definirsi il cazzeggio in libreria, quando si viene orientati o stimolati, tra l'altro, anche dalle note di copertina o controcopertina, sorta di allettamenti o di adescamenti alla lettura di tutto il testo. C'è modo e modo di adescare, ma, per favore, si vorrebbe essere adescati con professionalità: basta con la trascrizione del semplice incipit (nel nostro caso quello dell'introduzione e quello del capitolo di apertura). Almeno aprite il testo e citate a caso: c'è il caso che ne nesca qualcosa di originale.

Il volume è in effetti da leggere, non per l'originalità che lo stile sapientemente polemico, efficacemente non trattatistico, ostentatamente non tecnico, parrebbe annunciare. Proprio invece per una evidente capacità di fare il punto su una lunga teoria (nel senso di serie) di questioni apparentemente pratiche quanto sostanzialmente teoriche (nel senso proprio di teoriche) inerenti lo studio e l'insegnamento della lingua italiana come lingua uno (per i parlanti madre lingua) messo in atto quest'ultimo con consapevolezza epistemica (con conoscenza specifica delle questioni sollevate dalla ricerca in questa materia). Faccio questa osservazione perchè in primo luogo, val più la pratica, e senza falsa modestia devo dire che quando mi è capitato di insegnare, venticinque o trent'anni oro sono, la grammatica italiana, avevo già tutti presenti e squadernati i problemi qui sollevati da De Benedetti e la loro incombenza determinò e determinava l'impostazione (più o meno riuscita) del mio insegnamento (con qualche scandalo da parte di pochi utenti e di qualche collega). In secondo luogo, il libro è corredato (a pie' di capitolo) di una essenzialissima bibliografia proposta in forma sbarazzina (farina di altri sacchi, con abstract essenziali e ironici, una bella invenzione per richiamare l'attenzione sulle bibliografie) che nella sua non ridondanza fornisce il percorso irrinunciabile di aggiornamento sulle questioni affrontate.

Spero dunque che il contenuto dei vari capitoli non costituisca (o forse si potrebbe introdurre uno spericolato plurale) novità per nessuno degli addetti ai lavori e spero altresì (desueto ma qui insostituibile) che il libro, caduto in mano di non addetti ai lavori che si facessero prendere dal tono spigliato e dalla prima persona (in cui è scritto, con ammissione pregressa di colpa) confondendo lo stile stesso con un carattere semantico (cioè scambiando la scelta stilistica colloquiale come un messaggio in sé), non si limiti a catalizzare l'ennesima polemica contro gli operatori scolastici.

E' in effetti un'intenzione dell'autore chiaramente espressa a più riprese concentrare l'energia pamphlettistica contro il neo-crusc, insieme che può ammettere un insieme intersezione con quello degli insegnanti, ma che non richiede certo la qualifica di docente come definizione di appartenenza.

Ogni docente è bene, pertanto, che si confronti con un volumetto di questo genere, più che altro, spero, per verifica di una propria e già in atto impostazione problematica del lavoro di insegnamento della lingua. Effetto positivo collaterale della trattazione è anche l'ottundimento della polemica rivolta contro i concorrenti sleali della scuola nell'insegnanento della lingua. Senza pararsi dietro a orientate e orientabili rilevazioni statistiche (forse è questo il senso del titolo, più che l'inserimento in una tradizione di studi grammaticali che parte dagli anomalisti di Pergamo), De Benedetti smonta i piagnistei sulla tendenza corruttiva che ogni canale comunicativo di recente invenzione avrebbe sulla dinamica diacronica della lingua italiana. La sua tesi di fondo è in sostanza una domanda: perchè piangere sul destino del congiuntivo (che a suo giudizio non sta affatto in cattiva salute) e non su quello del futuro anteriore, del quale pare ammettersi con buona organizzazione del lutto la quasi definitiva dipartita ? Mi verrebbe da ricordare Giacomo Devoto, che non vedeva nella tendenza a scomparire dell'ottattivo fututro una decadenza del greco, ma si limitava a constatare che se in Senofonte c'erano più futuri dell'ottativo che in Omero, voleva semplicemente dire che l'attico era un dialetto più conservativo. Ed ecco infatti la proposta che sta alla base del volume di De Benedetti: recuperiamo la grammatica come strumento descrittivo della lingua, non come marchingegno normativo. E questo è un messaggio di validità universale nel nostro mondo della scuola: recuperiamo il contatto col momento euristico (lo ripeto come in altre parti di questa rubrica: finchè ci concederanno insegnanti con un percorso accademico completo) della nostra disciplina e, sulla base di questo contatto, compiamo scelte professionali aggiornate e consapevoli.

Qualche citazione illuminante e di stimolo alla lettura ? Per non cadere nell'errore che ardivo ravvisare nelle scelte editoriali del presente volume, proverò ad estrarre qualche riga spremendo la memoria immediata di lettura:


Chi immagina la grammatica come una geometria a una sola dimensione, in cui le parole devono stare rigidamente allineate in modo da produrre uno e un solo significato per volta, rimarrà di nuovo sconcertato. Come può la lingua consentire simili ambiguità ? (si sta parlando della ambiguità di definire il soggetto, n.d.r.) Come è concepibile che un enunciato significhi una cosa e il suo contrario ? La risposta a queste domande è che la lingua, non solo quella italiana, è un organismo sghembo e pieno di fessure; ha il passo irregolare, un equlibrio instabile e tende a inciampare in trappole che lei stessa predispone.


E poi:


E l'analisi logica ? L'analisi logica mescola un po' tutto insieme, sintassi e semantica, funzioni e significati, proponendo una tassonomia dei complementi tanto imponente e prolissa quanto fine a se stessa.


Vecchia critica, ma l'autore la sposta anche (udite !) verso la incapacità di descrivere il latino o quanto meno servire a favorirne l'apprendimento.

Un'ultima nota: il testo contiene un'illuminante guida contro (e per il riconoscimento di) discorsi inutilmente difficili. Il tono di molti capitoli di questa rubrica può cadere facilmente in quella accusa (qualcuno me l'ha rivolta). C'è però, proprio in questo volume, la scusante: questa rubrica è un piccolo contributo al dibattito tra insegnanti e agli operatori della scuola è rivolta. L'accesso non è certo vietato ai non addetti, ma chi entra nel cantiere dei lavori in corso deve pur stare attento ai carichi sospesi.