Daniel Barenboim, La musica sveglia il tempo, Felrinelli, 2007

 

 

E’ il grande musicista, fondatore della West-Eastern Divan Orchestra, che si rivolge ad un pubblico misto di musicisti, musicofili, ascoltatori dilettanti e anche di non ascoltatori delle note musicali ma di quelle di disarmonico tormento che provengono dai conflitti mediorientali e in particolare da quello israelopalestinese. Il testo, che pur non risparmia qualche passaggio tecnico ed è corredato da una appendice di esempi di spartiti, evidentemente rivolti a chi almeno sappia leggerli, è in realtà basato su una comunicazione di grande semplicità, con passaggi logici di quasi disarmante chiarezza. Eppure gli argomenti affrontati sono quanto mai complessi. Il primo consiste nel rintracciare le relazioni della musica con la realtà della vita nei suoi vari aspetti, come dire la nozione di realtà della musica stessa. L’altro è un’accorata proposta per la questione palestinese, che un ebreo, sulla scorta di una visione del mondo e di questo mondo sorta dal pensiero di Hanna Arendt e di Martin Buber, si sente di formulare nelle forme di un sogno che non evita di essere ammonimento e apostrofe.

Il metodo che l’autore segue e soprattutto propone, forse al di là di qualche breve ceduta dell’ortodossia teorica, ha un suo fascino: le strutture compositive dei generi musicali hanno in sè una realtà di rapporti intrinseci tra gli elementi che può essere non sono mimetica della realtà materiale, ma talvolta ispirare un progresso o una correzione etica in questa realtà. In tal senso, Barenboim tenta di fare i conti anche con i pregiudizi della filosofia verso la musica (a partire naturalmente da quello platonico) e soprattutto con i tragici errori di contatto tentati in passato tra musica e vicende sociali (a partire dall’antisemitismo di Wagner e dagli usi hitleriani di quella musica). E i conti partono a loro volta dalla considerazione della sostanza intrinseca della musica: tale aspetto è forse il più fecondo dal nostro punto di vista, poichè ispira la ricerca di aspetti interni al messaggio artistico che ne definiscano le possibili valenze per le reazioni con la realtà fattuale esterna all’arte stessa.

 

Benchè Nietzsche sostenesse che “non ci sono verità ma solo interpretazaioni”, la musica non richiede interpretazione. Richiede l’osservazione del testo, il controllo della sua realizzazione e la capcità del musicista di diventare tutt’uno con l’opera di un altro. Niente esiste fuori dal tempo; nella musica, come nella vita, c’è un collegamento invisibile fra velocità e sostanza. La velocità di una progressione armonica, proprio come la velocità di un processo politico, può determinare l’efficacia e in definitiva alterare la realtà su cui cerca di influire.

 

Fare riferimento al tempo per la gestione di un processo è il grande insegnamento che viene dalla musica. I moderni mezzi tecnologici per la comunicazione ingannano da tale punto di vista: i loro prodotti

 

costituiscono una specie di versione stenografica della conoscenza, e quando vengono accettati alla lettera possono condurre alla pigrizia mentale. La televisione, ed spesso anche internet, offrono informazioni senza dare tempo sufficiente per riflettere e comprendere.

 

La convivenza tra idee diverse non può esaurirsi nella tolleranza, anzi:

 

Il significato della parola tolleranza è del tutto improprio se vediamo in essa solo una forma di generosità altruistica. Racchiude in sé qualcosa di presuntuoso: io sono meglio di te. Goethe espresse in maniera sintetica questo concetto quando disse: “Limitarsi a tollerare è un insulto; la vera assenza di pregiudizi vuol dire accettazione”. La vera accettazione, potrei aggiungere, significa riconoscere la differenza e la dignità dell’altro. In musica, questo è rappresentato perfettamente dal contrappunto o polifonia. L’accetazione della libertà e della individualità dell’altro è una delle lezioni più importanti che la musica ci impartisce.

 

Il racconto israeliano e quello palestinese – la loro opera di costante revisione e riscrittura della propria storia – si trovano nel medesimo stato di interconnessione permanente che esiste fra soggetto e controsoggetto in una fuga. Senza il controsoggetto non c’è fuga. Né si può dire che il soggetto abbia un’importanza maggiore del controsoggetto, poiché è una realtà obiettiva che senza l’altro nessun o dei due ha una collocazione logica. … Gli strumenti più potenti dell’orchestra, come trombe e tromboni, devono essere capaci di suonare dentro l’orchestra e non fuori.

 

Sulla musica contemporanea.

 

La conoscenza e l’esecuzione della musica contemporanea accrescono la comprensione dei capolavori del passato. … L’esplorazione della musica moderna si differenzia da quella del passato soprattutto perché per scoprirla, e per sviluppare preferenze e gusti individuali come se ne hanno nei confronti della musica dei secoli scorsi, occorre uno sforzo maggiore. Se la si esplora solo per senso del dovere, non può esserci né la gioia né una scelta critica necessaria per individuare i lavori davvero meritevoli di essere eseguiti insieme alla grande musica del passato. … Una registrazione è un mezzo assai più perfetto dell’uomo, se si vuole riproporre all’infinito un’interpretazione che fu il risultato di una comprensione spontanea; ma il dovere dell’uomo è quello di trovare le verità nuove e impellenti di un’opera, se dovrà studiarla ed eseguirla più di una volta. La musica perde il suo potere quando il musicista perde la curiosità e l’umiltà davanti ad essa.

 

Sulle possibili manipolazioni della musica si spazia nel saggio dalla proposizione nella pubblicità di brani classici fino all’uso da parte di regimi dittatoriali. Il principio di fondo delle manipolazioni è così espresso:

 

La distinzione tra la musica e le associazioni che evoca potrebbe essere definita in termini più generali come la differenzafra la sostanza e la percezione. Troppo spesso, oggigiorno, cerchiamo di alterare la sostanza per adattarla alla nostra percezione.

 

La conclusione sulla questione israelo palesinese:

 

Se Israele resta chiuso all’influenza intellettuale e culturale dei suoi vicini, continuerà ad essere un corpo estraneo nel Medio Oriente, e questo avrebbe conseguenze disastrose sulla longevità dello stato; un corpo estraneo può esistere, dentro una società, una musica o un essere umano, solo per un tempo limitato. Si tratta di un problema diverso da quello del processo di assimilazione che gli ebrei dovettero affrontare in Europa per poter sopravvivere o per diventare cittadini a pieno titolo; il fatto di essere uno stato dovrebbe incoraggiare Israele a includere nella sua visione altri elementi, oltre quelli che furono essenziali per la sua nascita.